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cambiamenti climatici
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La conferenza COP28 di Dubai (dicembre 2023) ha prodotto il risultato di una convergenza globale sulla necessita' di prevedere l'abbandono delle fonti fossili per la produzione di energia (transition away). Il cosiddetto UAE consensus, espresso nei documenti ufficiali di sintesi conclusiva della conferenza, fa riferimento tuttavia a una 'transizione ordinata, giusta ed equa anche per i Paesi produttori' di fonti fossili. Non un phase-out a tappe stabilite quindi, ma un allontanamento con termini di progressione incerti. Stando un bilancio globale delle emissioni (global stocktake) che rivela l'inadeguatezza delle misure finora messe in atto, per verificare l'efficacia del nuovo impulso alle azioni di contrasto al cambiamento climatico, sara' determinante pertanto pesare l'impatto degli impegni nazionali di riduzione delle emissioni in atmosfera (NDCs), i quali dovranno essere esaminati e rivisti nel 2025. Le regole che delimitano il perimetro delle azioni di contrasto ai cambiamenti climatici permangono elaborate nel codice trascritto nelle fondative COP21 e COP15. Con la ventunesima Conferenza delle Parti (COP21, 2015 Parigi) la politica internazionale dei cambiamenti climatici ha ratificato il superamento del sistema di contenimento delle emissioni di CO2 in atmosfera in vigore con il Protocollo di Kyoto. Il primo documento attuativo della Conferenza ONU sui cambiamenti climatici si basava sul principio top-down che ispirava la regolazione della percentuale di riduzione di emissioni di ogni singolo Paese. La riduzione era calcolata in una misura stabilita a priori nel Protocollo, in relazione all'appartenenza di ogni Paese segnatario a uno dei gruppi geoeconomici predisposti, e prevista in tempi prestabiliti. Alla luce dei fatti, questo sistema e' stato rifiutato dalle Parti (Paesi aderenti alla Convenzione quadro sui cambiamenti climatici) come paradigma da estendere al periodo post Protocollo di Kyoto e ai Paesi che al Protocollo non erano vincolati (per es., USA che non avevano ratificato il Protocollo e Cina che per statuto non rientrava nelle categoria dei Paesi sottoposti a vincolo di riduzione delle emissioni). Troppo rigido per consentire alle singole economie nazionali, in particolare dei Paesi ex in via di sviluppo, di perseguire gli obiettivi di crescita economica, troppo subordinato a strumenti di mercato (crediti di emissione) dei quali non si e' confermata l'universalita', qualita' necessaria ad affermarne in assoluto l'efficacia, il criterio top-down e' stato accantonato a favore di un apparato di orientamenti fondato sul principio bottom-up. Espresso in termini di INDCs (Intended Nationally Determined Contributions), il nuovo sistema lascia ai singoli Paesi l'onere di determinare i propri obiettivi di contenimento delle emissioni in atmosfera e di conseguenza il contributo alla riduzione globale delle emissioni. In questo modo il controllo della politica dei cambiamenti climatici e' sempre di piu' affidato alle forze del mercato. Anche il Piano UE per una transizione verde, Pronti per il 55%, e' indirizzato a ottenere la neutralita' climatica dell'Unione nel 2050 attraverso un complesso di misure di politica industriale ed economica ispirate a questo principio.
La speranza di conseguire i risultati considerati dalla scienza nei margini della sicurezza e della sostenibilita' (aumento della temperatura al massimo di 2 gradi Celsius nel XXI secolo) risiede pertanto nella consistenza futura della domanda di beni e servizi a basso contenuto di carbonio. Quanto mai e' allora determinante la diffusione del riconoscimento del valore della produzione e dei prodotti dell'economia circolare e della green economy, soprattutto in prospettiva dell'affermazione di un costume associato a un nuovo motore economico.
Per favorire il corso di questo processo e' fondamentale comprendere l'argomento dei cambiamenti climatici in tutti suoi complessi e controversi aspetti, scientifici, politici, economici, sociali e culturali.

CONSEGUENZE AMBIENTALI DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI
XXI Secolo (2010)
istituto della ENCICLOPEDIA ITALIANA, Treccani ©

di Fabio Catino
Politica dei cambiamenti Climatici, economia, finanza e industria nel paradigma dello sviluppo sostenibile. Rischio e probabilita' nella scienza dei cambiamenti climatici. Forzanti Radiativi. Sensitivita' Climatica. Proiezioni di temperatura. Tipping Points. Prospettive nell'integrazione dei linguaggi. Bibliografia

Politica dei cambiamenti Climatici, economia, finanza e industria nel paradigma dello sviluppo sostenibile
La conclusione della Conferenza sui cambiamenti climatici di Copenaghen (COP15, 15th Conference Of the Parties), tenutasi nel dicembre del 2009, sancita da un documento che non obbliga i Paesi firmatari (Parti) della United Nations framework convention on climate change (UNFCCC), entrata in vigore nel 1994, a limitazioni legalmente vincolanti delle emissioni in atmosfera di gas clima-alteranti (GHG, Green-House Gas), rappresenta emblematicamente l'esito di un percorso iniziato ben prima che fosse definita la stessa convenzione quadro. Il summit danese ha segnato una linea di demarcazione sostanziale, pur non avendo il valore simbolico dell'ultimo atto, ossia non costituendo l'ultima Conferenza delle parti nel periodo di operativita' (2008-2012) del trattato che ha finora regolato lapplicazione dei principi UNFCCC e la misurazione dei conseguenti obiettivi di riduzione delle emissioni (Protocollo di Kyoto).
Avere stabilito, per il quadro degli accordi internazionali che regolera' la politica dei cambiamenti climatici dopo il Protocollo di Kyoto, una strategia di contenimento delle emissioni affidata a strumenti caratteristici dell'economia di mercato (avendo peraltro recepito la portata del rischio di cambiamenti climatici messo in evidenza dai dati scientifici) costituisce una scelta con ogni probabilita' non reversibile che necessita di essere ricontestualizzata in un clima culturale riconducibile alla fine degli anni Sessanta del 20° secolo. La sua origine si puo', infatti, far risalire al lavoro di ricerca del Club di Roma, osservatorio internazionale e multidisciplinare dello sviluppo economico mondiale; in particolare alla prima sintesi elaborata in questo contesto, ossia il rapporto The limits to growth (1972), dove si introduce per la prima volta in termini economici il concetto di limite della crescita imposto dalla finitezza delle risorse naturali, premessa fondamentale per la formalizzazione del principio di sviluppo sostenibile espresso nel rapporto Brundtland dell'ONU (Our common future, 1987). Il lavoro critico e teorico condotto in seguito su tali concetti e la circolazione delle relative elaborazioni nell'ambito della societa' civile hanno portato a racchiudere nella formula 'sviluppo con limiti' il modello economico di riferimento per la politica dei cambiamenti climatici. Tale formula, basata su una funzionale inversione di termini (da limiti dello sviluppo a sviluppo con limiti), implica una trasformazione di carattere culturale di notevole portata che si risolve in una rinnovata prospettiva economica attraversando dialetticamente molteplici aspetti di ambito diverso (sociale, politico, giuridico, etico e, ovviamente, scientifico) e istituendo una dimensione transdisciplinare, superiore a quella interdisciplinare, in cui si collocano concetti, definizioni e teorie.
Nel quadro delineato, il rischio associato agli effetti ambientali negativi dei cambiamenti climatici potrebbe assumere la valenza di volano dello sviluppo economico. La capacita' di tradurre i limiti fisici della finitezza di risorse ed ecosistemi in valore di scambio, attraverso le attivita' volte a ridurre la vulnerabilita' ambientale (aumento della resilienza) e le emissioni in atmosfera (mitigazioni degli effetti climatici secondo lo sviluppo di tecnologie a basso impatto di carbonio), rappresenta, infatti, la migliore opportunita' per svincolare il tasso di crescita dell'economia mondiale dai problemi che ne determinano l'attuale sofferenza. Tra le criticita' che troverebbero soluzione grazie all'affermazione di una economia a basso contenuto di carbonio (low carbon economy), sono da evidenziare la dipendenza eccessiva dalla disponibilita' di risorse energetiche fossili non illimitate e il sempre maggior rilievo della finanza in economia come leve di sviluppo produttivo. L'incremento di tecnologie, servizi e lavoro nell'ambito low carbon consentirebbe di fondare il tasso di crescita dell'economia piu' su un patrimonio di conoscenze che su risorse fisiche, prospettando orizzonti di espansione anche in termini di vivacita' di mercato associata all'apprezzamento di prodotti innovativi. Una parabola esemplare di tali implicazioni viene offerta dal caso della bolla del settore immobiliare statunitense da cui e' scaturita la crisi economica mondiale verificatasi alla fine del primo decennio del 21° secolo. Avendo come riferimento la dimensione delle riserve in valuta estera cinesi (circa 1900 miliardi di dollari nel 2008, prevalentemente conferite agli Stati Uniti), l'ingente quantita' di capitali veicolati nel mercato immobiliare statunitense attraverso nuovi strumenti finanziari ha provocato una cascata speculativa risultata infine non sostenibile, i cui effetti recessivi si sono progressivamente propagati su scala mondiale, prima al settore bancario poi a quello industriale (Spaventa 2008). Il surplus di risparmio cinese (savings glut) che ha contribuito a sostenere la crescita economica (e l'indebitamento) degli Stati Uniti ha trovato impiego prevalentemente in un settore ad alto rischio in quanto strutturato sul credito generalizzato non controllato. Una maggiore e migliore diversificazione delle stesse riserve finanziarie, per es. attraverso l'allocazione in settori piu' favorevoli per tasso di sviluppo di tecnologie, prodotti e servizi innovativi a basso impatto ambientale (green economy), avrebbe forse determinato una leva di sviluppo piu' consistente e meno incerta nel lungo periodo.
Malgrado alcuni aspetti potenzialmente positivi, il quadro politico e istituzionale per la definizione del dopo Kyoto comporta, tuttavia, anche gravi incertezze. In questo contesto, il conseguimento degli obiettivi che i Paesi aderenti hanno confermato (la riduzione delle emissioni e la stabilizzazione del clima) e' vincolato all'efficacia degli accordi internazionali fissati in merito. Si tratta, infatti, di un impianto di trattati e convenzioni che coinvolge sia Stati con iniziative bilaterali sia varie istituzioni sovranazionali operative a livelli diversi: oltre alla UNFCCC, l'UNEP (United Nations Environment Programme), la WMO (World Meteorological Organization), il MEF (Major Economies Forum on energy and climate), il G20, l'APP (Asia-Pacific Partnership on clean development and climate), la FAO (Food and Agriculture Organization), la WTO (World Trade Organization), l'IMF (International Monetary Fund), [la WB (World Bank)]. In analogia con il sistema fisico e quello economico che dovrebbe rispettivamente salvaguardare e governare, esso presenta le caratteristiche di un sistema complesso in cui e' particolarmente difficoltoso prevedere l'esito delle spinte centripete rispetto alla governance concentrata e dirigista del Protocollo di Kyoto. La tentazione di assecondare logiche protezionistiche di posizioni economiche e industriali varie e consolidate (per es., il sistema non riformato dei sovvenzionamenti all'industria delle fonti fossili di energia che nel 2007 valeva circa 400 miliardi di dollari, prevalentemente in Paesi non OECD, Organisation for Economic Cooperation and Development; Gaining traction, 2010) potrebbe favorire un quadro in cui risolvere il conflitto degli interessi divergenti, stabilendo un equilibrio avverso al mantenimento di condizioni climatiche funzionali agli ecosistemi cosi' come sono noti.
Un panorama simile, in cui si impongono scelte non marginali e selettivamente penalizzanti di politica industriale, contempla un elemento fortemente critico. Per la complessita' dell'argomento, la mediazione tra la formulazione di risultati scientifici e la formazione di opinioni di merito informate, a livello sia dei decisori politici sia della societa' civile, si presta a strategie speculative. Il problema del rischio ambientale dei cambiamenti climatici indotti dall'attivita' antropica si deve necessariamente affrontare in termini di incertezza e probabilita', ragione per cui movimenti ispirati a correnti di pensiero negazioniste hanno avuto agio di promuovere campagne aggressive di contrasto alle politiche istituzionali ed economiche di lotta ai cambiamenti climatici. [... Treccani ...]

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